Ritualità e Culti legati al vino

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Da succo d’uva fermentato a bevanda degli dei

Fin dalla sua scoperta, il vino ha sempre suscitato l’interesse dell’uomo, che gli ha attribuito nel corso della storia proprietà benefiche, taumaturgiche, arrivando persino a considerarlo la bevanda degli dei, o addirittura a bandirlo per timore dei suoi effetti sulla mente. Bassorilievi e geroglifici ci raccontano del vino prodotto in Mesopotamia e nell’antico Egitto, dove era riservato ai ricchi (al contrario della birra) ed offerto alle divinità tramite la cerimonia della libagione. Anfore contenenti vino (con tanto di “etichettatura” indicante annata, luogo di produzione e qualità) erano persino parte del corredo funebre del faraone Tutankhamon.

Successivamente la viticoltura si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, arrivando in primis nella Grecia Antica.
Per i Greci, il vino era uno strumento di socializzazione fondamentale, a cui, come noto, dedicarono anche una divinità: Dioniso. Infatti la bevanda e il Dio erano i protagonisti del Simposio, una sorta di wine party ante litteram: un gruppo di uomini (al massimo nove) si riuniva, solitamente dopo il pasto serale, per discutere di filosofia, politica, guerra e godere di quei piaceri della vita considerati all’epoca un dono divino. Durante il Simposio gli uomini erano soliti sollazzarsi con danzatrici e intrattenitrici (le uniche donne ammesse), mentre bevevano una mistura di acqua e vino. All’epoca infatti, le tecniche di vinificazione e conservazione (tra cui anche la bollitura) permettevano di ottenere un prodotto molto dolce, alcolico e sciropposo, estremamente diverso da quello che noi oggi conosciamo come vino e che necessitava perciò di essere alleggerito con acqua e aromatizzato con miele e spezie. Al contrario, i Celti erano in grado di produrre vini assai più leggeri e dissetanti, che conservavano in botti di legno, a differenza di altre popolazioni antiche, che si affidarono per secoli ad anfore e ceramiche di varie forme e dimensioni.

Fu sempre dalla Grecia che il vino giunse, insieme ad anfore, ceramiche ed al culto di Dioniso, agli Etruschi (che identificarono la divinità come Fufluns). Da allora le tecniche di vinificazione si diffusero in tutta la penisola, venendo poi migliorate dai Romani, che non solo intuirono e sfruttarono le proprietà battericide del vino, ma ne compresero il valore economico, tanto che oggi sappiamo, ad esempio, che la zona di Pompei era al tempo, una delle più rinomate per la produzione di vino di tutto il mondo antico.

Liber, conosciuto anche con il nome Liber Pater era a Roma il Dio del vino, della fertilità e dell’agricoltura. Liber era una delle divinità tutelari della plebe romana, la sua festa, i Liberalia, (celebrati il 17 marzo) erano associati con la libertà di parola ed i diritti che giungevano con la maturità. I giovani maschi festeggiavano il raggiungimento dell’età virile tagliando la prima barba e dedicandola alle divinità guardiane della propria casa, e se liberi cittadini, indossavano per la prima volta la loro toga virilis, riservata esclusivamente agli uomini adulti. Liber infatti era anche la personificazione della potenza sessuale maschile, tuttavia i suoi attributi, vennero lentamente assorbiti da Bacco e Dioniso, con cui finì per condividere miti e peculiarità.
Bacco - Caravaggio
Il culto dei Dio Bacco, giunse e si diffuse a Roma intorno al II secolo a.C. Analogamente al culto di Dioniso in Grecia, da cui deriva, si trattava di un culto misterico, riservato ai soli iniziati (inizialmente solo alle donne, chiamate baccanti) con finalità mistiche. Durante la celebrazione dei baccanali, non solo si beveva, ma si praticava anche attività sessuale, spesso con modalità contrarie alle leggi di Roma. Per questo, in poco tempo i seguaci di Bacco finirono per scontrarsi con la religione ufficiale, finché nel 186 a.C. il Senato, emise il Senatus consultum de Bacchanalibus, allo scopo di annientare il culto di Bacco con l’abbattimento dei templi e la persecuzione degli adepti. Successivamente i baccanali sopravvissero come feste propiziatorie celebrate in occasione del raccolto o della semina, ma senza più la componente misterica.

Col crollo dell’Impero, la diffusione della morale cristiana e successivamente dell’Islam nel medio-oriente e nel bacino del mediterraneo, si assistette ad un forte calo della produzione. Ironia della sorte, fu proprio grazie ai monaci che il vino trovò il suo rifugio. All’interno dei monasteri europei infatti, il vino ebbe ampio utilizzo: riconosciuto come sangue di Cristo, elemento fondamentale per l’eucarestia, esso si caricò nuovamente di significati simbolici; non solo veniva bevuto (con moderazione), ma era utilizzato addirittura come medicinale per rinvigorire i malati, per lavare l’altare e il corpo dei defunti o come ricompensa per i lavori pesanti. Allo stesso tempo, poteva essere negato per penitenza e se ne sconsigliava il consumo, per evitare l’insorgere di “comportamenti peccaminosi”. Il vino quindi era portatore di virtù, ma anche padre di tutti i vizi, una bevanda che se assunta senza moderazione conduceva alla dissoluzione e al peccato.

Anche in oriente esiste questa dicotomia: l’Ayurveda, il sistema di guarigione più antico al mondo, considera il vino una sorta di elisir in grado di curare molte patologie, oltre che un sostituto alla Soma, un succo sacrificale estratto dall’omonima pianta e definito anche come la “bevanda degli immortali”. Tuttavia gli stessi testi definiscono il vino come portatore di ebrezza che sconvolge la mente.

In Europa, il vino riacquisterà il suo ruolo solo durante il Rinascimento: vari furono i letterati e gli artisti dell’epoca che ne decantarono le qualità. Con l’avvento dei mastri bottai nel diciassettesimo secolo, la diffusione dei tappi di sughero e di bottiglie più economiche, il vino tornò ad essere protagonista della cultura occidentale, simbolo della vita contadina, della tradizione e della stagionalità.

Ancora oggi, possiamo rintracciare in tutte le fasi di produzione, elementi ritualizzanti e gesti codificati, ereditati dalla tradizione popolare, che trasformano la viticoltura e la produzione di vino in un grande rituale che attraversa tutte le stagioni e che si conclude col momento più sacro di tutti, l’apertura della bottiglia e il suo consumo, un’operazione che coinvolge tutti i sensi: il rumore del tappo che viene rimosso, i colori nel bicchiere, gli aromi, il profumo, la consistenza; una vera e propria esperienza sensoriale, in un certo senso mistica, che possiamo fare quotidianamente a casa nostra.

Speriamo abbiate gradito questo breve (e certamente non esaustivo) excursus storico culturale incentrato sui culti legati al vino e alla sua produzione. A presto con un nuovo articolo![:]